Il nome Hujum (in russo Худжум?, Chudžum; in arabo هجوم?; significato nelle lingue turche: offesa) si riferisce ad una serie di politiche e azioni intraprese in Unione Sovietica dal Partito comunista di tutta l'Unione (bolscevico), durante il governo di Iosif Stalin, per rimuovere tutte le manifestazioni di disuguaglianza di genere, in particolare quelle presenti nei sistemi sociali dell'Asia centrale.[1] Lo scopo della campagna era cambiare rapidamente la vita delle donne nelle società musulmane in modo che potessero partecipare alla vita pubblica, al lavoro retribuito, all'istruzione e, in ultima analisi, all'appartenenza al Partito Comunista. Fu originariamente concepito per far rispettare le leggi che garantivano la parità di genere nelle società patriarcali creando programmi di alfabetizzazione e favorendo l'inserimento delle donne nel lavoro. Eliminando i mezzi di oppressione e annunciando la liberazione delle donne, il Partito Comunista pensava di poter aprire la strada alla costruzione del socialismo.
Il programma fu avviato in occasione della festa della donna, l'8 marzo 1927, e rappresentò un cambiamento rispetto alla politica bolscevica di libertà religiosa per i musulmani nell'Asia centrale.[2] Contrariamente al suo scopo, l'hujum era visto da molti musulmani come un tentativo da parte degli stranieri, ovvero i Russi, di imporre la loro cultura alla popolazione indigena di Tagiki, Tatari e Uzbeki.[2] Il velo divenne inavvertitamente un indicatore di identità culturale, indossarlo era un atto di sfida religiosa e politica e una forma di sostegno al nazionalismo etnico.[2] Tuttavia, nel tempo la campagna fu un successo: i tassi di alfabetizzazione femminile aumentarono, mentre diminuirono la poligamia, i delitti d'onore, i matrimoni con minorenni e l'uso del velo.[3][4]