La Conferenza degli Ambasciatori delle Principali Potenze Alleate ed Associate fu un'organizzazione interalleata dell'Intesa nel periodo successivo alla prima guerra mondiale. Formata nel gennaio 1920 a Parigi,[1] succedette al Consiglio supremo di guerra alleato e venne successivamente incorporata de facto nella Società delle Nazioni come uno dei suoi organi di governo. Divenne meno attiva dopo il Patto di Locarno del 1925 e cessò formalmente di esistere nel 1931[2] o nel 1935[1].
La Conferenza era costituita dagli ambasciatori di Gran Bretagna, Italia, e Giappone accreditati a Parigi e dal ministro degli esteri francese. L'ambasciatore degli Stati Uniti partecipava esclusivamente in qualità di osservatore perché gli Stati Uniti non avevano ratificato il trattato di Versailles.[1] Il diplomatico francese René Massigli ne fu segretario generale fino allo scioglimento della Conferenza.[2] Era presieduta dai ministri degli Esteri della Francia (tra questi Georges Clemenceau, Raymond Poincaré e Aristide Briand).
La conferenza venne costituita per far rispettare i trattati di pace e per mediare le varie contese territoriali tra gli Stati europei.[2] Tra le dispute trattate dalla Conferenza sono incluse quelle riguardanti la Slesia di Cieszyn (tra la Polonia e la Cecoslovacchia), la regione di Vilnius (tra Polonia e Lituania), la regione di Klaipėda (tra Germania e Lituania), e la crisi di Corfù (tra Italia e Grecia)[3]. Una delle sue principali decisioni territoriali venne presa il 15 marzo 1923, nel riconoscere i confini orientali della Polonia creatisi in seguito alla guerra polacco-sovietica del 1920[4]. La Conferenza riconobbe anche la sovranità polacca sulla regione di Vilnius e sulla Galizia orientale.[5]
Gli orientamenti assunti dalla Conferenza degli ambasciatori furono spesso contraddetti dalla sua segreteria generale e dai comitati e commissioni che per essa lavorarono come consulenti permanenti od occasionali.[6]