Lo Dzogchen (rDzogs chen o Atiyoga, in tibetano རྫོགས་ཆེན།, rDzogs chenW, ZogqênP), secondo alcune scuole del buddismo tibetano e della tradizione religiosa Bön, è lo stato naturale e primordiale, ovvero una condizione spontanea della mente, e, allo stesso tempo il corpus di insegnamenti volti a realizzare tale condizione. Lo Dzogchen, o Grande Perfezione, è un insegnamento centrale della scuola Nyingmapa, e pratiche tese al suo riconoscimento interiore sono praticate anche da seguaci di altre scuole del buddismo tibetano. Secondo la letteratura che lo riguarda, lo Dzogchen è il più alto e definitivo percorso verso l'illuminazione.[1]
La nostra natura ultima viene definita come pura e omnicomprensiva, come consapevolezza primordiale e sempre naturalmente presente come sfondo di ogni evento psichico. Questa "consapevolezza intrinseca" non ha forma propria e tuttavia rende possibile la percezione oltre che permettere a ogni essere senziente di sperimentare, riflettere o esprimersi in tutte le forme.
L'analogia data dai maestri della tradizione Dzogchen è che la natura di un essere vivente è come uno specchio che rifletta in modo totale e comprensivo gli oggetti ma che in nessun caso è mai influenzato dagli stessi riflessi in esso, oppure come una sfera di cristallo perfettamente trasparente, capace di assumere in sé il colore della luce alla quale venga esposta senza per questo cambiare nella sua natura originaria neutra e priva di propria colorazione.
Nella pratica dello Dzogchen il meditante permette il libero manifestarsi della propria attività psichica in tutta la sua complessità lasciando che pensieri, emozioni, sentimenti o stati di coscienza generali rallentino la loro "vorticosità" e poi arrivino spontaneamente ad autoliberarsi, senza lasciare traccia della propria passata presenza nel campo della consapevolezza eccetto questa stessa consapevolezza intrinseca che emana senza sforzo dal proprio essere. Questa consapevolezza è ciò a cui i tibetani si riferiscono usando il termine Rigpa.