Governo Giolitti IV | |
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Stato | Italia |
Presidente del Consiglio | Giovanni Giolitti |
Legislatura | XXIII, XXIV |
Giuramento | 30 marzo 1911 |
Dimissioni | 10 marzo 1914 |
Governo successivo | Salandra I 21 marzo 1914 |
Il Governo Giolitti IV è stato il governo del Regno d'Italia in carica dal 30 marzo 1911[1] al 21 marzo 1914[2], per un totale di 1.076 giorni, ovvero 2 anni, 11 mesi e 22 giorni.
Il governo, presieduto dal politico Giovanni Giolitti (1842-1928), nacque dalla proposta che questi fece di un suffragio universale maschile. Tale proposta era tesa a catturare il consenso dell'estrema sinistra e a mettere in difficoltà il governo Luzzatti. Tornato al potere, Giolitti dovette comunque cedere alle mire espansionistiche degli ambienti conservatori, con l'impresa di Libia.[3]
Il quarto governo Giolitti rappresenta l'ultimo atto della politica trasformista del politico piemontese. Il Regno d'Italia era colpito dai sommovimenti cui la stessa riforma elettorale aveva dato espressione. La via dell'equilibrio tra le forze, tenuto in vita da Giolitti a partire dal 1903, non era più praticabile. Nuove istanze si affacciavano alla vita politica nazionale senza riuscire a rientrare negli schemi giolittiani: il movimento operaio era riuscito a prevalere sulla componente riformista e prese a esigere di orientare maggiormente la politica nazionale; altrettanto, i cattolici chiedevano di partecipare alla macchina dello Stato, mentre si diffondevano idee corporativiste e nazionaliste.[4]
Oltre al suffragio universale maschile, il programma prevedeva la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita. L'approvazione del provvedimento relativo alle assicurazioni sulla vita fu, secondo molti studiosi (come Carocci), uno degli ultimi eventi che segnarono la vittoria dello Stato nei confronti dei privati. L'intervento pubblico nel settore assicurativo portò durante il primo anno di governo, su proposta del Ministro dell'agricoltura, dell'industria e del commercio Francesco Saverio Nitti, alla nascita dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), il quale divenne ente monopolista in tema di assicurazioni sulla vita.[5] A capo di questo ente fu posto il giovane socialista Alberto Beneduce, futuro padre dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI).[6]
Il presidente del Consiglio spinse, inoltre, la maggioranza ad approvare il provvedimento che prevedeva la corresponsione di un'indennità mensile ai deputati. Bisogna ricordare, infatti, che all'epoca i parlamentari non avevano alcun tipo di stipendio o indennità: ricevere denaro come retribuzione per l'attività politica svolta era considerato degradante in quanto irrispettoso nei confronti dei cittadini e della cosa pubblica. L'unico "privilegio" concesso ai deputati era la tessera gratuita per le ferrovie. In questa situazione era evidente la difficoltà degli elettori di scegliere i propri rappresentanti fra le classi meno abbienti. Giolitti stesso amava ricordare che, se non fosse stato nominato dal re membro del Consiglio di Stato (con relativo stipendio), ben difficilmente avrebbe potuto permettersi d'intraprendere la carriera politica con le spese che questa comportava. Tale problema divenne più acuto sul finire dell'Ottocento in seguito alla comparsa del partito socialista sulla scena politica italiana: era arduo per alcuni esponenti di tale partito, specie i sindacalisti e coloro che non svolgevano una libera professione, accettare una candidatura.
La conquista della Libia aveva alienato a Giolitti l'appoggio dei socialisti. Egli aveva cercato a quel punto di ricorrere ai cattolici con il patto Gentiloni, composto in vista della elezioni politiche del 1913, le prime a svolgersi con il suffragio universale maschile. Venuto a mancare l'appoggio dei radicali, Giolitti dovette dimettersi (21 marzo 1914).[7]