L'identificazione con l'aggressore è una delle forme d'identificazione concettualizzate dalla psicoanalisi; nello specifico è un meccanismo di difesa introdotto da Sándor Ferenczi[1] e solo successivamente da Anna Freud (1936)[2]; esso indica l'assumere il ruolo dell'aggressore e dei suoi attributi funzionali, o l'imitarne la modalità aggressiva e comportamentale e un suo sottotipo particolare è la cosiddetta sindrome di Stoccolma.
Il meccanismo è già presente e attivo durante l'infanzia: il bambino introietta alcuni dei caratteri dell'oggetto ansiogeno, assimilando così un'esperienza angosciante appena provata[2] per trasformarsi da minacciato in minacciante. La Freud ritiene, inoltre, che tale meccanismo di difesa contribuisca in modo determinante alla formazione del Super-io.[2] L'esperimento del 1963 di Elliot Aronson e Merrill Carlsmith sul giocattolo proibito sembra avallare tale ipotesi e dunque questo tipo di dinamica: ci si attribuisce una mutilazione del proprio desiderio pur di percepirsi autarchici, indipendenti e non sottomessi.[3][4]