I rifugiati palestinesi o profughi palestinesi sono persone, in prevalenza arabi palestinesi, che, nel corso della guerra arabo-israeliana del 1948, sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case in quella parte del mandato britannico della Palestina che è diventato il territorio dello Stato di Israele. Il termine è nato durante il primo esodo palestinese (in arabo: النكبة, an-Nakba, "catastrofe"), l'inizio del conflitto arabo-israeliano.
L'Organizzazione delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione (UNRWA) definisce "rifugiato palestinese" una persona "il cui normale luogo di residenza è stato in Palestina tra il giugno 1946 e maggio 1948, che ha perso sia l'abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948".
La questione del diritto dei rifugiati palestinesi e dei loro discendenti di fare ritorno nelle loro case è uno dei punti più controversi nei negoziati di pace israelo-palestinesi.
La definizione di rifugiato dell'UNRWA copre anche i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948[1], indipendentemente dalla loro residenza nei campi profughi palestinesi o in comunità permanenti.[2] Si tratta di una grande eccezione alla normale definizione di rifugiato.
In base a questa definizione, il numero di profughi palestinesi per l'ONU è passato da 711.000 nel 1950[3] a oltre cinque milioni di registrati nel 2015.[4]
Popolazione totale (inclusi i discendenti): | 5.149.742 (2.117.361 in Giordania, 1.276.929 nella Striscia di Gaza, 774.167 in Cisgiordania, 528.616 in Siria e 452.669 in Libano)[4] |
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Aree con presenza significativa: | Striscia di Gaza, Giordania, Cisgiordania, Libano, Siria |
Lingue: | Arabo palestinese, altri dialetti arabi |
Religioni: | Islam sunnita, cristiano-ortodossi, cattolici |