Si definisce rimpatrio (o ritorno) dei beni culturali la ricollocazione di un manufatto dalla valenza storico-culturale nel proprio aereale d'origine, od agli ex proprietari (ed i loro eredi).
Gli oggetti contestati, spesso depredati in episodi bellici, variano ampiamente e comprendono sculture, dipinti, monumenti, oggetti come strumenti o armi per scopi di studio antropologico e resti umani.
Il saccheggio del patrimonio culturale dei popoli sconfitti con la guerra è una pratica comune fin dall'antichità. In epoca moderna, risultano particolarmente degne di nota le spoliazioni napoleoniche: una serie di confische di opere d'arte e oggetti preziosi effettuate dall'esercito francese o da ufficiali francesi nei territori del Primo Impero francese, tra cui la penisola italiana, la Spagna, il Portogallo, i Paesi Bassi, e l'Europa centrale. Il saccheggio continuò per quasi 20 anni, dal 1797 al Congresso di Vienna del 1815.[1]
Dopo la sconfitta di Napoleone, alcune delle opere d'arte saccheggiate furono restituite al loro paese d'origine, tra cui il Leone ed i Cavalli di San Marco, che furono rimpatriati a Venezia. Ma molte altre opere d'arte sono rimaste nei musei francesi, in primo luogo il Louvre e la Biblioteca nazionale.[2]
All'inizio del XXI secolo, i dibattiti sulle acquisizioni da parte delle collezioni occidentali dei manufatti di origine coloniale si sono incentrati sia su argomenti contro che a favore dei rimpatri. Dalla pubblicazione del rapporto francese sulla restituzione del patrimonio culturale africano nel 2018, l'opinione pubblica ha favorito le restituzioni su basi morali piuttosto che meramente legali.[3]