Il ritratto è in generale ogni rappresentazione di una persona secondo le sue reali fattezze e sembianze: propriamente si riferisce a un'opera artistica realizzata nell'ambito della pittura, della scultura, del disegno, della fotografia o anche, per estensione, la descrizione letteraria di una persona.
Nell'arte esso rappresenta uno dei soggetti più rilevanti, anche se la ritrattistica era anticamente ritenuta un genere inferiore alla scena storica, che aveva per soggetto le azioni dei personaggi importanti del passato.
Il ritratto non è mai una vera riproduzione meccanica delle fattezze, come lo è invece una maschera di cera modellata su un volto o una qualsiasi impressione fotografica (con qualche distinguo). Nel "ritratto" entra in gioco la sensibilità dell'artista: nel processo creativo, nella scelta del soggetto, della posa, dell'espressione, delle finalità della sua opera interpreta le fattezze del modello secondo il proprio gusto e secondo le caratteristiche dell'arte e del tempo in cui opera, ma a volte aprendo a nuove intuizioni o scelte che ne fanno un antesugnano. Vi furono artisti che praticarono ampiamente e in maniera quasi esclusiva il ritratto e intere civiltà che rifiutarono il ritratto quale, come lo definiva lo storico dell'arte toscano Filippo Baldinucci (1624-1697) "figura cavata dal naturale"[1] (come l'arte greca arcaica e classica). L'etimologia della parola e i sinonimi lo rivelano: trarre, tirar giù. La presenza o assenza del ritratto fisiognomico in determinate civiltà (che pure possedettero mezzi artistici sufficienti per produrne) non è una semplice questione di gusto verso una o l'altra forma artistica, bensì vi entrano in gioco particolari condizioni mentali e ideologiche riflesse negli sviluppi e le condizioni delle società dove operarono gli artisti[2].