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Storia degli Stati Uniti d'America

Voce principale: Stati Uniti d'America.

La storia degli Stati Uniti d'America ha avuto inizio il 4 luglio 1776, giorno in cui venne approvata la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, che segnò ufficialmente il distacco delle originarie tredici colonie britanniche dalla sovranità del Regno Unito. Tuttavia, molti eventi hanno preceduto tale data, costituendo di fatto le radici storiche degli Stati Uniti, da tenere in considerazione per un complessivo resoconto storico.

L'arrivo di popolazioni umane nell'America del Nord è datato circa al 15.000 a.C. Numerose furono le civiltà e culture indigene che nacquero, molte delle quali scomparvero a partire dal 1500. L'arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492, infatti, diede avvio alla colonizzazione europea delle Americhe. Il territorio in questione venne toccato dagli esploratori europei già nel 1513, durante una spedizione guidata da Juan Ponce de León. Gli esploratori e coloni europei successivamente approdati sul continente nordamericano incontrarono numerose popolazioni di nativi americani (denominati poi impropriamente indiani o indiani d'America), che vennero decimati nel corso della colonizzazione[1] promossa da varie potenze europee cui parteciparono, tra gli altri, britannici, francesi, olandesi, portoghesi e spagnoli. La maggior parte delle colonie si formarono dopo il 1600. Gli scritti e i resoconti del colonizzatore John Winthrop fanno degli Stati Uniti la prima nazione le cui origini sono pienamente documentate.[2]

Intorno al 1760 le Tredici colonie britanniche contavano una popolazione di circa 2,5 milioni di abitanti, stanziati lungo la costa atlantica del continente, a est degli Appalachi. Dopo aver sconfitto la Francia nella guerra franco-indiana, il governo inglese approvò una serie di provvedimenti che aggravarono la tassazione delle popolazioni coloniali, tra cui la Stamp Act del 1765, ignorando le numerose contestazioni dei coloni, secondo i quali qualsiasi nuova imposizione fiscale avrebbe necessariamente richiesto la loro approvazione. Le proteste contro le nuove tasse, tra cui il Boston Tea Party del 1773, condussero il Parlamento inglese ad approvare una serie di leggi a carattere punitivo con lo scopo di porre fine all'autonomia governativa del Massachusetts. Un conflitto armato, passato alla storia come rivoluzione americana, scoppiò nel 1775. Nel 1776, a Filadelfia, il secondo congresso continentale dichiarò ufficialmente l'indipendenza delle colonie.

Sotto la guida di George Washington, gli Stati Uniti vinsero la guerra d'indipendenza americana, con l'importante sostegno della Francia e aiuti dalla Spagna e dai Paesi Bassi. Il trattato di Parigi del 1783, che pose fine al conflitto, conferì le terre a est del Mississippi (comprese porzioni del Canada, ma non la Florida) alle colonie indipendenti. Gli Articoli della Confederazione, che andarono a regolare i rapporti tra le colonie, previdero un governo centrale, di fatto però incapace di garantire una certa stabilità, avendo poteri limitati. Nel 1787, la Convenzione di Philadelphia redasse la Costituzione degli Stati Uniti, ratificata nel 1789. Nel 1791, venne aggiunto il cosiddetto "Bill of Rights" (la Carta dei Diritti) al fine di garantire i diritti inalienabili della persona. Con la presidenza di George Washington e il contributo di Alexander Hamilton, venne creato un forte governo centrale. L'acquisto dei territori della Louisiana francese nel 1802 permise agli Stati Uniti di raddoppiare il proprio territorio ad ovest. Una seconda e ultima guerra con l'Inghilterra fu combattuta nel 1812, ma non portò a cambiamenti.

Seguendo la concezione del Destino manifesto, l'espansionismo statunitense si spinse fino alle coste dell'Oceano Pacifico. Pur avendo un vasto territorio in espansione, la popolazione statunitense nel 1790 ammontava solo a circa 4 milioni di abitanti. Nonostante ciò, una rapida crescita della popolazione seguì negli anni successivi: nel 1810 arrivò a 7,2 milioni, nel 1860 a 32 milioni, 76 milioni nel 1900, 132 milioni nel 1940 e 321 milioni nel 2015. L'ampio ricorso alla schiavitù divenne sempre più controverso e diede luogo a battaglie politiche di carattere costituzionale, che si risolsero per mezzo di compromessi. Alla fine del 1804, la schiavitù era stata abolita in tutti gli Stati federati a nord della Linea Mason-Dixon, mentre negli Stati del sud essa era ancora ampiamente utilizzata, in particolare per la produzione di cotone. Nel 1860 fu eletto presidente il repubblicano Abraham Lincoln, il quale aveva proposto un programma volto a fermare l'espansione della schiavitù. Sette stati del sud si ribellarono contro tale politica e crearono la Confederazione. Il suo attacco contro Fort Sumter e le forze dell'Unione nel 1861 diede avvio alla guerra civile, anche conosciuta come "guerra di secessione". La sconfitta dei confederati nel 1865 condusse ad un impoverimento del sud e alla definitiva abolizione della schiavitù. Seguì l'era della ricostruzione, in cui venne esteso il diritto di voto agli schiavi liberati. Il governo nazionale ne uscì rafforzato e grazie al XIV emendamento si impose ai singoli Stati di garantire la stessa protezione legale a tutte le persone sottoposte alla loro giurisdizione. Ciononostante, quando nel 1877 i Democratici ritornarono al potere nel sud, sopprimendo di fatto il diritto di voto mediante azioni paramilitari, essi riuscirono ad approvarono le cosiddette leggi Jim Crow, al fine di tutelare la supremazia dei bianchi, e nuove costituzioni volte ad impedire legalmente l'esercizio del diritto di voto alle comunità afroamericane. Queste pratiche proseguirono fino alle conquiste ottenute dal movimento per i diritti civili degli anni '60.

Gli Stati Uniti divennero la prima potenza industriale agli inizi del XX secolo grazie alla nascita di numerose imprese, all'industrializzazione degli Stati del nord-est e del Midwest e all'arrivo di milioni di immigrati dall'Europa. Una rete stradale nazionale venne completata e furono aperte grandi miniere e fabbriche. Una generale insoddisfazione contro la corruzione, l'inefficienza e la politica tradizionale portò alla nascita dell'era progressista. Tale periodo si caratterizzò per le numerose riforme, tra cui il proibizionismo, il suffragio femminile e l'introduzione del XVI e XVII emendamento, che permisero l'istituzione di un tributo federale sui redditi e l'elezione diretta dei senatori. Dopo un iniziale periodo di neutralità, gli Stati Uniti presero parte alla prima guerra mondiale, dichiarando guerra alla Germania nel 1917, e contribuendo alla vittoria degli Alleati l'anno seguente. Le donne ottennero il diritto di voto nel 1920. I nativi americani ottennero la cittadinanza e il diritto di voto nel 1924. Dopo un decennio di prosperità, il Martedì nero alla Borsa di New York nel 1929 segnò l'inizio della Grande Depressione, grave crisi economica che segnò il decennio successivo. Nel 1932 il presidente democratico Franklin D. Roosevelt riuscì a conquistare la Casa Bianca, ponendo fine alla supremazia repubblicana, e implementò il New Deal, un piano di riforme economico-sociali che introdussero, tra gli altri, sussidi ai disoccupati, sostegno agli agricoltori, un sistema di previdenza sociale (Social Security Act) e un salario minimo. Il New Deal finì per influenzare in modo decisivo il liberalismo americano moderno.

Dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbour nel 1941, gli Stati Uniti presero parte alla seconda guerra mondiale, finanziando gli sforzi bellici degli Alleati e contribuendo in modo decisivo alla sconfitta della Germania nazista e dell'Italia fascista nel teatro europeo. Il loro coinvolgimento culminò con l'utilizzo delle prime armi atomiche mai costruite dall'uomo e la conseguente totale distruzione delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, che portò alla resa dell'Impero giapponese e, quindi, alla vittoria nella Guerra del Pacifico.

Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica emersero come superpotenze rivali. La guerra fredda segnò un periodo di scontro indiretto nell'ambito della corsa agli armamenti, della corsa allo spazio, della propaganda e di scontri armati a carattere locale contro l'espansione della sfera sovietica (guerra di Corea e guerra del Vietnam). Negli anni '60, grazie al fondamentale contributo del movimento per i diritti civili, un'ulteriore ondata di riforme sociali fu approvata, andando a rafforzare i diritti costituzionalmente garantiti degli afroamericani (tra cui il diritto di voto e la libertà di movimento). La guerra fredda si concluse con la dissoluzione dell'Unione sovietica nel 1991, evento che lasciò gli Stati Uniti come unica superpotenza al mondo. Dopo la fine della rivalità con l'URSS, la politica estera degli Stati Uniti si concentrò sui conflitti armati nel Medio Oriente.

L'inizio del XXI secolo è stato segnato dagli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, compiuti dall'organizzazione terroristica islamica Al-Qaeda, seguiti da conflitti armati in Afghanistan ed in Iraq (guerra al terrorismo). Nel 2007 gli Stati Uniti hanno visto l'inizio della peggior crisi economica dalla Grande Depressione, seguita da anni di lenta crescita economica. Sia il livello di crescita sia il livello di disoccupazione tornarono a risalire nel corso degli anni successivi. Tuttavia, questi dati positivi si sono interrotti bruscamente a seguito degli effetti dello scoppio della pandemia di COVID-19.

  1. ^ Zinn, Howard (2003). A People's History of the United States 1492 - Present. HarperCollins. ISBN 0-06-052842-7 Storia del popolo americano dal 1492 a oggi
  2. ^ Paul Johnson, A history of the American people, 1999ª ed., New York, HarperPerennial, p. 32, ISBN 0060930349, OCLC 40984521.
    «These early diaries and letters, which are plentiful, and the fact that most important documents about the early American colonies have been preserved, mean that the United States is the first nation in human history whose most distant origins are fully recorded.»

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