Our website is made possible by displaying online advertisements to our visitors.
Please consider supporting us by disabling your ad blocker.

Responsive image


Sultanato di Delhi

Sultanato di Delhi
Sultanato di Delhi – Bandiera
Possibile vessillo (dettagli)
Sultanato di Delhi - Localizzazione
Sultanato di Delhi - Localizzazione
Mappa del sultanato di Delhi al suo apogeo sotto la dinastia turco-indiana dei Ṭughlāq[1]
Dati amministrativi
Nome ufficialein persiano سلطنت دلی‎, Salṭanat-e Dillī
Chirag
Lingue ufficialipersiano[2]
Lingue parlateindostano (dal 1451)[3]
CapitaleDelhi (1214-1327 e 1334–1506)
Altre capitaliLahore (1206–1210)
Bada'un (1210–1214)
Daulatabad (1327–1334)
Agra (1506–1526)
Politica
Forma di governoMonarchia assoluta
Sultanoelenco
Nascita1206[4] con Quṭb al-Dīn Aybak
CausaElevazione a sultanato da parte di Quṭb al-Dīn Aybak
Fine1526 con Ibrāhīm Lōdī
Causaconquista da parte dei Moghul con la prima battaglia di Panipat
Territorio e popolazione
Economia
Valutatanka
Religione e società
Religioni preminentiInduismo, buddismo
Religione di StatoIslam sunnita
Evoluzione storica
Preceduto daDinastia ghuride
Gahadavala
Dinastia Chandela
Dinastia Paramara
Dinastia Deva
Dinastia Sena
Dinastia Seuna
Dinastia Kakatiya
Dinastia Vaghela
Dinastia Yajvapala
Chahamani di Ranastambhapura
Succeduto daImpero Moghul
Sultanato di Bengala
Sultanato di Bahman
Sultanato di Gujarat
Sultanato di Malwa
Impero Vijayanagara
Ora parte diBangladesh (bandiera) Bangladesh
India (bandiera) India
Nepal (bandiera) Nepal
Pakistan (bandiera) Pakistan

Il Sultanato di Delhi (persiano/urdu سلطنت دلی, Salṭanat-e Dilli o سلطنت هند, Salṭanat-e Hind) fu uno Stato islamico esistito dal 1206 al 1526 che, al momento della sua massima espansione, si sviluppava su quasi tutto il territorio del subcontinente indiano; la capitale era posta a Delhi, anche se non mancarono delle parentesi storiche durante le quali il centro amministrativo venne spostato altrove.[5][6] A governo del sultanato si impose una serie di dinastie turche e pashtun ("afghane"), ovvero, in ordine cronologico, dapprima i Mamelucchi (1206-1290), poi i Khaljī (1290-1320), i Ṭughlāq (1320-1414),[7] i Sayyid (1414-1451) e i Lōdī, o Lōdhī (1451-1526); tali famiglie reali furono poi definitivamente rimpiazzate dai Moghul. Sotto la sua giurisdizione di Delhi, al momento della massima estensione territoriale, rientravano regioni oggi comprese nel Pakistan, nell'India, nel Bangladesh e nel Nepal meridionale.[8]

Subentrato alla dinastia ghuride, il Sultanato di Delhi figurava in origine tra i numerosi principati governati dai generali schiavi turchi[nota 1] fedeli a Muhammad di Ghur, tra cui ad esempio Yildiz, Aibek e Qubacha, i quali avevano ereditato e spartito tra di loro i domini ghuridi prima floridi in gran parte dell'India settentrionale, in particolare nei pressi del passo di Khyber.[9] Dopo un lungo periodo di lotte intestine, i mamelucchi di Delhi soccombettero per via della rivoluzione Khalji, evento che segnò l'affermazione al potere di una variegata nobiltà indo-musulmana al posto dei turchi.[9][10] Entrambe le dinastie emergenti dei Khalji e dei Tughlaq diedero il via a molteplici campagne belliche terminate con delle rapide e vittoriose conquiste nel sud dell'India, nello specifico nel Gujarat e nel Malwa. Altrettanto degno di nota fu l'invio di una prima storica spedizione militare a sud del fiume Narmada e nel Tamil Nadu.[9]

Nella prima parte del XIV secolo, la nazione continuò a estendersi verso l'India meridionale fino al 1347, quando le province del sud si resero indipendenti sotto il Sultanato di Bahmani, successivamente smembratosi nei Sultanati del Deccan. L'entità statale raggiunse l'apice della sua portata geografica durante la dinastia Tughlaq, quando incorporava sotto la stessa bandiera città facenti parte dell'odierno Pakistan e del Bangladesh.[11] Una simile espansione fu seguita dal declino dovuto alle riconquiste indù, ai regni indù come l'Impero di Vijayanagara e di Mewar che reclamavano l'indipendenza, e ai nuovi sultanati musulmani come quello del Bengala, Jaunpur, Gujarat e Malwa che riuscirono a separarsi dall'autorità centrale.[9][12] Nel 1398, il saccheggio della capitale Delhi compiuto da Tīmūr (Tamerlano) rese ancor più tangibile l'inarrestabile processo di declino e frammentazione che lo Stato islamico stava vivendo. Dopo essersi brevemente ripreso sotto la dinastia dei Lōdī (o Lōdhī), finì poi conquistato da Bābur, imperatore Moghul, nel 1526.[nota 2]

La rilevanza storica dello Stato in esame riguarda soprattutto lo sviluppo di una cultura cosmopolita globale nel subcontinente indiano[13] (si pensi alla proliferazione della lingua indostana[14] e dell'architettura indo-islamica).[15][16] Inoltre, poiché il sultanato fu una delle poche realtà a riuscire a respingere gli attacchi dei mongoli, in particolare del Khanato Chagatai,[17] risultò possibile la coincidenza di quei fattori che consentirono l'intronizzazione di una delle poche figure femminili di spicco nella storia islamica, Radiya Sultana, al potere dal 1236 al 1240.[18] Le campagne vittoriose di Bakhtiyar Khalji, avvenute alla fine del XII secolo, portarono con sé la profanazione su larga scala di templi indù e buddisti, evento a cui seguì un declino di quest'ultimo credo nell'India orientale e nel Bengala,[19][20][21] e alla distruzione di alcune università e biblioteche.[22][23] Le incursioni mongole nell'Asia occidentale e centrale gettarono le condizioni ideali affinché cominciassero a susseguirsi secoli di flussi migratori di soldati, intellettuali, mistici, commercianti, artisti e artigiani in cerca di rifugio nel subcontinente in esame, permettendo così di radicare la cultura islamica in India[24][25] e nel resto della regione.

  1. ^ (EN) Jamal Malik, Islam in South Asia: A Short History, Brill Publishers, 2008, p. 104, ISBN 978-90-04-16859-6.
  2. ^ Arabic and Persian Epigraphical Studies - Archaeological Survey of India", su asi.nic.in. URL consultato il 19 marzo 2021 (archiviato dall'url originale il 10 gennaio 2019).
  3. ^ (EN) Muzaffar Alam, The Pursuit of Persian: Language in Mughal Politics, in Modern Asian Studies, vol. 32, n. 2, Cambridge University Press, maggio 1998, pp. 317-349.
    «L'indostano o hindavi fu riconosciuto come lingua semi-ufficiale dalla dinastia Suri (1540–1555) e i rescritti della loro cancelleria recavano trascrizioni di testi persiani in caratteri devanagari. Pare che la pratica fu interrotta dalla dinastia Lodi (1451-1526)»
  4. ^ Jackson, p. 28.
  5. ^ (EN) Delhi Sultanate, su Encyclopedia Britannica. URL consultato il 19 marzo 2021.
  6. ^ Schimmel, p. 1.
  7. ^ (EN) Sailendra Sen, A Textbook of Medieval Indian History, Midpoint Trade Books Incorporated, 2013, pp. 68-102, ISBN 978-93-80-60734-4.
  8. ^ (EN) David Arnold e Peter Robb, Religious vs. regional determinism: India. Pakistan and Bangladesh as inheritors of empire, 1ª ed., Routledge, 1995, pp. 2-29, ISBN 978-02-03-03658-7.
  9. ^ a b c d (EN) Aryan Tomar, Shadowing the Turbulence, 2020, p. 130, ISBN 979-85-77-03698-0.
  10. ^ Chandra, p. 159.
  11. ^ (EN) Muḥammad ibn Tughluq, su britannica.com. URL consultato il 19 marzo 2021.
  12. ^ Kulke e Rothermund, pp. 187, 190.
  13. ^ (EN) Catherine B. Asher e Cynthia Talbot, India Before Europe, Cambridge University Press, 2006, pp. 50-52, ISBN 978-0-521-51750-8.
  14. ^ (EN) Keith Brown e Sarah Ogilvie, Concise Encyclopedia of Languages of the World, Elsevier, 2008, p. 1138, ISBN 978-0-08-087774-7.
    «L'apabhraṃśa sembrava essere in uno stato di transizione dal medio indo-ariano al nuovo stadio indo-ariano. Alcuni elementi dell'indostano appaiono [...] la forma distinta della lingua franca indostana appare negli scritti di Amir Khusro (1253–1325), che chiamava Hindwi»
  15. ^ (EN) Anthony Welch, Architectural Patronage and the Past: The Tughluq Sultans of India, in Muqarnas, vol. 10, Brill, 1993, pp. 311-322, DOI:10.2307/1523196.
  16. ^ (EN) J. A. Page, Guide to the Qutb, Delhi, Calcutta, 1927, pp. 2-7.
  17. ^ (EN) Kaushik Roy, Military Thought of Asia: From the Bronze Age to the Information Age, Routledge, 2020, p. 120, ISBN 978-10-00-21069-9.
  18. ^ (EN) Lindsay Brown e Amelia Thomas, Rajasthan, Delhi e Agra, su books.google.it, EDT srl, 2009, p. 23, ISBN 978-88-60-40409-1.
  19. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore eat283319
  20. ^ (EN) Ashirbadi Lal Srivastava, The Sultanate of Delhi: Including the Arab Invasion of Sindh, Hindu Rule in Afghanistan and Causes of the Defeat of the Hindus in Early Medieval Age (711 - 1526 A.D.), 3ª ed., Shiva Lal Agarwala, 1959, p. 346.
  21. ^ (EN) Craig Lockard, Societies, Networks, and Transitions, Cengage Learning, 2007, p. 364, ISBN 978-0-618-38612-3.
  22. ^ (EN) Gul e Khan, Growth and Development of Oriental Libraries in India, Library Philosophy and Practice, University of Nebrasaka-Lincoln, 2008.
  23. ^ (EN) Alistair Shearer, The Story of Yoga: From Ancient India to the Modern West, Oxford University Press, 2020, p. 69, ISBN 978-17-87-38192-6.
  24. ^ (EN) John McCannon, AP World History: Modern Premium, Simon and Schuster, 2020, p. 96, ISBN 978-15-06-25339-8.
  25. ^ (EN) Thomas Piketty, Capital and Ideology, Harvard University Press, 2020, p. 307, ISBN 978-06-74-98082-2.


Errore nelle note: Sono presenti dei marcatori <ref> per un gruppo chiamato "nota" ma non è stato trovato alcun marcatore <references group="nota"/> corrispondente


Previous Page Next Page