Umberto Terracini | |
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Presidente dell'Assemblea Costituente | |
Durata mandato | 8 febbraio 1947 – 31 gennaio 1948 |
Predecessore | Giuseppe Saragat |
Successore | Giovanni Gronchi |
Deputato dell'Assemblea Costituente | |
Durata mandato | 25 giugno 1946 – 31 gennaio 1948 |
Gruppo parlamentare | Comunista |
Circoscrizione | Liguria |
Collegio | III Genova |
Incarichi parlamentari | |
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Sito istituzionale | |
Senatore della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 8 maggio 1948 – 6 dicembre 1983 |
Legislatura | I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX |
Gruppo parlamentare | Comunista |
Circoscrizione | Senatore di diritto (I Legislatura), Liguria (II), Toscana (dalla III alla IX) |
Collegio | Genova I (II Leg.), Firenze (III, IV, V), Livorno (dalla VI alla IX) |
Incarichi parlamentari | |
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Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Partito politico | Partito Comunista Italiano |
Titolo di studio | Laurea in giurisprudenza |
Università | Università degli Studi di Torino |
Professione | Avvocato |
Umberto Elia Terracini (Genova, 27 luglio 1895 – Roma, 6 dicembre 1983) è stato un politico e antifascista italiano, presidente dell'Assemblea costituente e dirigente del Partito Comunista Italiano.
Figura storica del socialismo italiano, Terracini fu uno dei protagonisti di quel travagliato processo interno al PSI che portò alla nascita del PCdI, ed in seguito tra i maggiori esponenti della sua incarnazione successiva, il PCI, distinguendosi per la forte "autonomia critica" da lui espressa in svariate occasioni nei confronti della condotta maggioritaria del suo partito.
Nel 1924 fu contrario alla cosiddetta secessione dell'Aventino, ovvero la defezione da parte di tutte le forze d'opposizione antifascista ai lavori parlamentari a seguito dell'assassinio di Giacomo Matteotti. In seguito manifestò in più occasioni all'interno del partito il proprio dissenso nei confronti della politica di Stalin e della sua eccessiva influenza in seno al Comintern, contestando ad esempio la cosiddetta "svolta" segnata dal VI Congresso dell'Internazionale Comunista del 1928,[1] in cui si sancí il principio di non collaborazione con le forze socialdemocratiche e socialiste moderate in ottemperanza alla formula del "socialfascismo". In seguito, criticò aspramente il patto di non aggressione stipulato nel 1939 dalla Germania nazista e dall'URSS, con il quale venivano tra l'altro determinate la spartizione della Polonia e la successiva occupazione sovietica dei paesi baltici. Tali posizioni critiche gli costarono l'isolamento all'interno del partito durante il periodo di confino a Ponza e a Ventotene e successivamente l'espulsione[2].
Liberato dal confino dopo la caduta del fascismo, fu costretto a rifugiarsi in Svizzera dopo l'8 settembre per evitare i rastrellamenti di ebrei e antifascisti delle truppe naziste. Rientrò in Italia per partecipare alla Resistenza in Piemonte, divenendo Segretario della Giunta di Governo della Repubblica partigiana dell'Ossola. Fu riammesso nel partito il 14 dicembre del 1944. Nel 1946 fu presidente dell'Assemblea Costituente. Negli anni settanta fu fermamente contrario al compromesso storico tra il PCI e la Democrazia Cristiana e, successivamente, si mostrò favorevole a una politica maggiormente aperta alle posizioni di Israele[3]. Ha collaborato con la rivista Il Calendario del Popolo.