Carmine Crocco | |
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Nascita | Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 |
Morte | Portoferraio, 18 giugno 1905 |
Dati militari | |
Paese servito | Regno delle Due Sicilie Regno di Sardegna Lealisti borbonici |
Forza armata | Esercito siciliano I Mille Briganti legittimisti |
Anni di servizio | 1848 - 1852 1860 - 1861 |
Grado | Caporale Comandante in capo |
Guerre | Seconda guerra d'indipendenza italiana Brigantaggio postunitario italiano |
Campagne | Spedizione dei Mille |
Battaglie | Battaglia del Volturno Battaglia di Acinello Massacro di Ruvo del Monte Assedio di Pietragalla |
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Carmine Crocco, detto Donatelli o Donatello[1][2][3] (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830[4] – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante italiano tra i più noti e rappresentativi del periodo risorgimentale.
Era il capo indiscusso delle bande del Vulture-Melfese, sebbene agissero sotto il suo controllo anche diverse formazioni dell'Irpinia e della Capitanata. Dapprima militare borbonico, disertò e si diede alla macchia. In seguito, combatté nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi per la reazione borbonica, divenendo comandante di un'armata di duemila uomini, che fece della Basilicata uno dei principali epicentri del brigantaggio postunitario italiano nel Mezzogiorno continentale d'Italia.[5] Si distinse da altri briganti del periodo per chiara e ordinata tattica bellica e imprevedibili azioni di guerriglia, qualità che vennero esaltate dagli stessi militari sabaudi.[6]
Alto 1,75 m, dotato di un fisico robusto e un'intelligenza non comune,[7] fu uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi appellativi come "Generale dei Briganti",[8] "Generalissimo",[9] "Napoleone dei Briganti",[10] e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.[11]
Arrestato nel 1864 dalla gendarmeria dello Stato Pontificio, ove aveva tentato di trovar riparo, venne processato nel 1870 da un tribunale italiano. Fu condannato a morte, poi commutata in ergastolo nel carcere di Portoferraio. Durante la detenzione, scrisse le sue memorie, che divennero oggetto di dibattito per sociologi e linguisti.[12] Benché una parte della storiografia dell'Ottocento e inizi del Novecento lo considerasse principalmente un ladro e un assassino,[13] a partire dalla seconda metà del Novecento iniziò ad essere rivalutato come un eroe popolare, in particolar modo da diversi autori della tesi revisionista,[14] anche se la sua figura rimane ancora oggi controversa.