Abū Muḥammad ʿAbd al-Ḥaqq ibn Ibrāhīm ibn Muḥammad ibn Naṣr, al-Makkī al-Mursī Quṭb al-Dīn Quṭb al-Dīn (= Polo della religione) è un impegnativo laqab attribuitogli da fonti orientali.[1] (in arabo محمد بن عبدالله بن سبعين?, meglio noto come Ibn Sabʿīn – "[figlio] di settanta"[2] – o Ibn Dāra – "[figlio] dello zero" o "del circolo"[3]; Murcia, 1216-1217 – La Mecca, 1270 circa[4]), è stato un mistico e filosofo arabo, di ispirazione sufi, la cui figura intellettuale fu sempre accompagnata dal sospetto di eterodossia e da una divaricazione di giudizi che spaziavano dall'esaltazione al disprezzo, fino a indurlo, secondo una certa tradizione, all'estrema scelta del suicidio.
È particolarmente noto per essere stato riconosciuto, per la prima volta da Michele Amari, come l'interlocutore che diede soddisfazione alla curiositas che Federico II di Svevia avrebbe espresso nelle famose Questioni siciliane (Al-masāʾil al-Ṣiqilliyya)