La micropolifonia è una tecnica compositiva praticata nella seconda metà del ‘900 nella quale un grande numero di esecutori (almeno una decina) esegue delle parti separate che non hanno lo scopo di essere percepite individualmente, come nella polifonia classica, ma servono a creare degli effetti spaziali (lo stesso elemento imitativo si sposta di voce in voce, di strumento in strumento), timbrici (con la creazione di impasti sonori granulari e mutevoli) oppure effettistici (brusio, ecc.).
Per ottenere effetti di micropolifonia occorre utilizzare l'orchestra o il coro a parti reali (cioè, per fare un esempio, i primi violini non suonano tutti all'unisono, secondo il principio della fila, ma ognuno suona una parte diversa).
Il padre della micropolifonia è György Ligeti che l'ha così definita: «La complessa polifonia di ciascuna parte è incorporata in un flusso armonico-musicale nel quale le armonie non cambiano improvvisamente, ma si fondono l'una nell'altra; una combinazione distinguibile di intervalli sfuma gradualmente, e da questa nebulosità si scopre che una nuova combinazione di intervalli prende forma».