Ibla è il nome di diversi antichi siti preistorici della Sicilia orientale appartenuti con ogni probabilità al popolo dei Siculi, i quali ebbero persino un re che portò tale appellativo: re Iblone. Da Ibla deriva il nome dei monti Iblei e del miele ibleo (che in tali monti si produceva e si produce tutt'oggi). Gli Iblei veneravano una dea della quale sfugge il nome, ma che ha conservato l'appartenenza al suo popolo e per questo nota come dea Iblea (una sorta di Grande Madre, signora della primavera o signora degli inferi, identificata alle volte con Persefone, altre volte con Flora o con Artemide).
La collocazione di questi centri arcaici - che al plurale assumono la denominazione di Ible -, noti alle fonti antiche, è divenuta oggetto di dibattito tra gli studiosi moderni, poiché non vi sono prove certe che possano permettere la loro identificazione con l'area di alcune odierne città siciliane.
Una sola Ibla, o meglio una sua diretta discendente, è stata fino a oggi con certezza identificata: si tratta di Megara Iblea, così chiamata, secondo la tradizione, dai Greci di Megara in onore di Iblone, che concesse la terra per stabilirvi la loro colonia attica; i suoi resti sono stati rinvenuti nelle immediate vicinanze di Augusta (facente parte odiernamente del libero consorzio comunale di Siracusa). Secondo le fonti di Strabone e di Eforo di Cuma Megara Iblea si chiamerebbe così non per via di Iblone, ma piuttosto perché sorta sulle rovine di un'antica Ibla (Megara Iblea venne rasa al suolo una prima volta dagli antichi Siracusani nell'anno 481 a.C., poi da questi ricostruita sotto il regno di Timoleonte e definitivamente distrutta da Marco Claudio Marcello nell'anno 212 a.C.).
Resta decisamente il mistero più fitto sulle restanti Ible, denominate da Stefano di Bisanzio con l'appellattivo di Ibla la Major (detta anche Magna), Ibla la Minor e Ibla la Parva. Tuttavia, un geografo tedesco del XVI secolo, Filippo Cluverio, asserì di aver identificato la Ibla Minor (ovvero l'Ibla Erea menzionata nell'Itinerario antonino e nella Tabula Peutingeriana), collocandola presso il sito archeologico di Ragusa, la quale, a seguito di ciò, ha nel XX secolo intitolato il suo centro storico Ragusa Ibla. La conclusione alla quale giunse il Cluverio viene però ancora considerata incerta, poiché dubbiosa è stata definita la traduzione che egli mise in opera e la sua conseguente connessione con il passato siculo del ragusano.
Non si conosce nemmeno quale sia il sito dell'Ibla nella quale perse la vita il tiranno Ippocrate di Gela; ucciso in battaglia dal popolo degli Iblei. Così come si ignora dove si trovino i resti dell'Ibla che Tucidide chiamò Galeotide, o Geleatide (e se essa sia la medesima Ibla che mise fine alle gesta di Ippocrate), che venne attaccata dalla capitale dell'Attica, l'antica Atene, e da questa seppe difendersi durante la tentata invasione siciliana, nel contesto della guerra peloponnesiaca.
Un fatto certamente di rilievo, che può aiutare a comprendere l'importanza di Ibla in epoca antica, è dato dalla presenza di un ibleo (non si sa di quale delle Ible fosse nativo), alle Olimpiadi: Archia, araldo detto Ibleo, fu il primo straniero a partecipare e a vincere ad Olimpia, i cui riti sacri erano di norma riservati solo agli Elei (egli vinse 3 cicli olimpici), vinse anche ai Giochi pitici, cosicché nella città attica di Pito gli venne dedicata una statua dove si rimarcavano la sua origine iblea e le sue doti vocali, consacrandola al dio Febo: l'Apollo luminoso.
Oltre Ragusa, le città che spesso sono state accostate con le antiche Ible sono: Paternò, Santa Maria di Licodia nel catanese, Avola, Pantalica e Melilli (la più vicina a Megara Iblea) nel siracusano, Piazza Armerina nell'ennese.