Il pianeta Urano possiede ventotto satelliti naturali. Diversamente dalle altre lune dei pianeti del sistema solare i cui nomi sono tratti da personaggi della mitologia greca, i nomi dei satelliti uraniani provengono da opere dei poeti inglesi William Shakespeare ed Alexander Pope.[1]
I satelliti di Urano possono essere a grandi linee distinti in tre gruppi: tredici satelliti interni, cinque maggiori (e regolari) e nove satelliti irregolari, a seconda del tipo di orbita e della loro origine.[2] Gli ultimi satelliti di Urano sono stati scoperti nell'agosto del 2003. Le lune interne e maggiori hanno tutte orbite prograde, mentre le orbite dei satelliti irregolari sono per lo più retrograde.[3] I satelliti interni sono piccoli corpi oscuri che condividono proprietà e origini comuni con gli anelli di Urano. Le cinque maggiori lune sono di forma ellissoidale, a indicare che hanno raggiunto l'equilibrio idrostatico ad un certo punto del loro passato, e quattro di esse mostrano segni di processi interni come la formazione di canyon e di vulcanismo sulle loro superfici.[4] La più grande delle cinque lune maggiori, Titania, ha un diametro di 1.578 km ed è l'ottava luna più grande del sistema solare, la sua massa è circa un ventesimo della massa della Luna terrestre. Le orbite delle lune regolari sono quasi complanari con l'equatore di Urano, che è inclinato di 97,77° rispetto alla sua orbita, mentre le lune irregolari hanno orbite ellittiche e fortemente inclinate e sono situate a grandi distanze dal pianeta.[5][4]
William Herschel scoprì le prime due lune, Titania e Oberon, nel 1787, mentre altre tre lune maggiori furono scoperte nel 1851 da William Lassell (Ariel e Umbriel) e nel 1948 da Gerard Kuiper (Miranda). Le lune rimanenti furono scoperte dopo il 1985, durante il sorvolo ravvicinato della Voyager 2 o con l'aiuto di grandi telescopi dalla Terra o dal telescopio spaziale Hubble.[5]
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatore moonsfactsheet
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Smith Soderblom et al. 1986